Crescendo, ho sempre pensato che avrei vissuto nella mia città natale per il resto della mia vita. Sono un’amante dello stare in casa e desidero ardentemente sentirmi parte di una comunità e creare una casa in cui la mia famiglia si senta ancorata e stabile. Volevo vivere in un luogo in cui mi sentissi compresa, amata e apprezzata da amici e parenti che mi conoscono bene e in una cultura che capivo bene. Invece, Dio mi ha sovranamente portata in una direzione diversa, anzi in molte direzioni diverse. Da quando ci siamo sposati otto anni fa, io e mio marito abbiamo vissuto in otto case diverse in cinque città diverse. Anche adesso, mentre leggo il brano di oggi, viviamo in un Paese diverso, stiamo ancora una volta imparando una nuova lingua e una cultura molto diversa da quella della mia città natale.
Ogni volta che mi sono trasferita, ho sperimentato l’ansia e la solitudine che derivano dal sentirsi lontani da casa. Ad essere sincera, soprattutto durante i primi due traslochi, ho lottato con l’egoismo e mi sono chiesta perché Dio mi avesse portato in luoghi che sentivo così lontani da dove desideravo essere. Tutte le volte, i primi mesi e a volte i primi anni in un nuovo posto, erano pieni di lacrime e preghiere che rivolgevo a Dio. La maggior parte di queste preghiere erano richieste a Dio affinché provvedesse ciò di cui avevo bisogno per sentirmi a casa, che si trattasse di una comunità migliore, di amici o anche di un lavoro più vicino alla mia città natale. Accecata dai miei sentimenti di nostalgia, raramente le mie preghiere erano rivolte alle città e alle nuove persone con cui Dio mi aveva messo in comunità, ed è per questo che l’invito del Signore alla preghiera ha immediatamente catturato la mia attenzione nel brano di oggi.
La mia esperienza di lontananza da casa è poca cosa rispetto alla confusione che gli esuli devono aver provato a Babilonia. Posso solo immaginare la speranza che hanno provato quando Dio ha risposto alla loro domanda con una promessa. Gli esuli, stranieri in una nazione che non conosceva il vero Dio, ricevettero la promessa di un ritorno in patria 70 anni dopo. Tuttavia, Dio chiedeva ancora di vivere in modo fedele e santo nel presente, in attesa del bene promesso che aveva in serbo per loro. Questa promessa fiduciosa del bene futuro è ciò che doveva motivarli alla vita fedele nella loro nuova casa. Dovevano desiderare il bene per coloro che li circondavano, proprio come Dio desiderava il bene per loro. Durante questo periodo di preghiera e di ricerca del bene di Babilonia, potevano affidarsi a Dio per il loro futuro, dato che avevano visto come egli aveva mantenuto le sue promesse in passato.
Anche se la promessa fatta nel brano di oggi è diretta in modo specifico agli esiliati, essa ci mostra il carattere amorevole di Dio. Attraverso l’insegnamento di Gesù, vediamo che anche noi siamo chiamate a vivere con fedeltà laddove Dio ci ha posto, nel mezzo di un mondo perduto. Il desiderio degli esuli di tornare a casa e la nostalgia terrena che a volte proviamo noi, sono semplicemente riflessi del senso di estraneità che sentiamo anche noi oggi come cristiani in un mondo che cerca di soffocare la gloria del vero Dio in ogni momento. Questa nostalgia celeste ci ricorda che non siamo di questo mondo, ma che siamo cittadine del regno di Dio e siamo chiamate a vivere come tali (Filippesi 3:20).
Sia che viviamo in fondo alla strada della nostra casa d’infanzia, dall’altra parte del mondo, che sperimentiamo la nostalgia della terra o che amiamo l’avventura di trasferirci in una nuova città, i cristiani vivono tutti lontano dalla loro casa celeste. Sappiamo come ci si sente a cercare di seguire Gesù in una cultura mondana che vorrebbe allontanarci da Cristo. Sperimentiamo le ferite, le lacrime e il dolore che derivano dal vivere in un mondo distrutto e sentiamo la profonda verità che questo non è il nostro posto. Tuttavia, ci viene data anche una promessa: la promessa di una speranza viva in Gesù Cristo. È la nostra motivazione per una vita fedele e santa in ciascuna delle città in cui ci troviamo.
Anche noi siamo esuli, viviamo in una terra straniera, in attesa del compimento della nostra salvezza. E mentre aspettiamo, siamo chiamati ad amare come ha amato Cristo, la nostra speranza viva, che ha amato sia i suoi amici che i suoi nemici. Gesù ci ha insegnato ad amare il prossimo (Matteo 22:39) ma anche ad amare e pregare per coloro che ci perseguitano (Matteo 5:44).
Durante quei primi anni e quei tanti traslochi, avrei voluto passare più tempo in preghiera per il bene della mia comunità e a chiedere a Dio la saggezza di capire come amare ogni persona che mi stava accanto per poter vivere in modo da riflettere la gloria di Dio in un mondo perduto. Mi pento di non aver pregato affinché ogni nuova persona che incontravo venisse a conoscere Gesù Cristo come speranza viva.
La consapevolezza che il nostro posto non è qui non dovrebbe portarci alla disperazione, all’odio o alla paura verso il mondo perduto che ci circonda, ma piuttosto a una gioiosa attesa dell’adempimento della promessa di Dio di portarci a casa nel suo regno. Per questo motivo, dobbiamo pregare continuamente affinché i nostri vicini, le nostre città, i nostri amici e la nostra famiglia trovino la loro casa in Cristo.
Non so dove Dio porterà la mia famiglia in futuro, ma ogni volta che sento nostalgia di casa, mi ricordo della nostalgia del cielo, e che questa nostalgia è buona. Quando ci sembra difficile vivere in un mondo che è così contro Dio e la sua bontà, inginocchiamoci e preghiamo che Dio porti del bene nelle nostre città attraverso la diffusione del Suo regno e che anche gli altri possano sperimentare la gioia della nostalgia del cielo.
Andrea